Compasso amplia in Ticino la rete dell’integrazione professionale. La problematica riguarda in particolare i giovani al primo impiego.
Uno dei temi più delicati riguardo al mercato del lavoro è quello della reintegrazione professionale. Sotto l’egida dell’Unione svizzera degli imprenditori, l’associazione Compasso che spegne tra poco dieci candeline, si dedica all’interazione tra imprese, persone interessate, AI, SUVA, assicurazioni e casse pensioni. In febbraio Compasso sarà per la prima volta in Ticino. Abbiamo colto l’occasione per intervistare il presidente di Compasso Martin Kaiser.
Quali sono i temi principali con cui si confrontano le persone con problemi fisici o psicologici?
«Per chi cerca lavoro c’è sempre la stessa sfida: trovare il matching giusto tra le proprie risorse e le esigenze di una professione. Chi ha una limitazione fisica o mentale fa più fatica a convincere il datore di lavoro di essere la persona giusta. Più impegnativa ancora di chi ha già un lavoro e poi si ammala, è la situazione di chi ha una disabilità e vuole entrare nel mondo del lavoro. Nel primo caso è più facile trovare comprensione e una soluzione».
Si tratta di un fenomeno stabile o in aumento in Svizzera?
«Dall’inizio degli anni 2000 il numero di nuovi beneficiari di rendite AI si è dimezzato e da allora è stabile. Secondo la Conferenza degli uffici AI, ogni anno vanno in AI circa 20.000 persone, senza contare i casi risolti direttamente da un assicuratore col datore di lavoro. Tuttavia oggi sono molte di più le persone disabili a causa di problemi psicologici (le diagnosi psichiche sono decuplicate in trent’anni)».
Ci sono classi di età più colpite di altre?
«No. Tuttavia mentre negli anni ‘90 il numero di nuovi beneficiari di rendite AI è sceso a circa 13.000 all’anno, il numero di giovani sotto i 30 anni è purtroppo rimasto stabile (ogni anno circa 3.000, due terzi dei quali per motivi psicologici). Un numero ancora troppo alto, a questi giovani manca una prospettiva».
Assumere qualcuno con disabilità fisiche o psichiche non è sempre semplice. Perché i datori di lavoro dovrebbero interessarsi alla questione dell’inserimento professionale?
«È vero. Però c’è una mancanza di lavoratori specializzati mentre la popolazione invecchia, un gap che non può essere colmato solo dall’immigrazione. Poi c’è la questione dei costi: se un’azienda perde un collaboratore per un burn-out, educarne uno nuovo richiederà molte risorse. Viceversa se un giovane affetto da autismo completa una formazione e trova lavoro, tutti ne beneficiano: l’azienda, il giovane e l’assicurazione sociale».
Che incentivi esistono per le aziende?
«La Legge sull’AI offre diverse possibilità. Si può effettuare un tentativo di integrazione di tre o al massimo sei mesi durante il quale il collaboratore percepisce la rendita AI. Scaduto il periodo, il datore di lavoro, Ufficio AI e collaboratore possono scegliere se iniziare o no un rapporto di lavoro. In questo modo il rischio viene annullato sia per l’azienda, che non assume costi che poi non sfociano in una assunzione, sia per l’assicurato che non rischia di perdere la rendita. Il tentativo di integrazione può anche comportare sforzi supplementari per l’azienda che deve seguire un collaboratore più da vicino. In questi casi la legge prevede un supporto finanziario per il datore di lavoro durante il periodo di inserimento».
Può spiegarci cos’è Compasso?
«Compasso è nato quasi dieci anni fa come progetto pilota con l’obiettivo di sensibilizzare i datori di lavoro e coordinare meglio tutti gli attori coinvolti, anche perchè l’AI ha un forte indebitamento (attorno ai 10 miliardi). L’integrazione professionale non è un processo semplice. Col patrocinio dell’Associazione svizzera dei datori di lavoro e di numerose associazioni industriali oggi vengono coinvolte grandi e piccole imprese, assicurazioni private, l’AI, la SECO e gli URC, le organizzazioni sociali e dei disabili e varie organizzazioni per l’inserimento professionale. Tutti con l’unico obiettivo di fornire strumenti pratici affinché i datori di lavoro siano motivati a preservare e attrarre le persone con disabilità. Lo fanno senza aiuti di Stato, la rete viene finanziata da sponsorizzazioni e quote associative».
Da quanto siete attivi in Ticino?
«L’anno scorso abbiamo deciso di estendere la nostra presenza al Ticino. Abbiamo ampliato l’offerta di servizi in lingua italiana sul sito, che sono gratuiti per i datori di lavoro. Siamo stati orgogliosi di salutare AITI come nostro primo membro ticinese. Il 21 febbraio, in collaborazione appunto con AITI, la Camera di commercio e l’Unione svizzera degli imprenditori, organizziamo per la prima volta un evento per i datori di lavoro a Sud delle Alpi. Intendiamo poi rinnovare ulteriormente l’offerta in lingua italiana, l’evento di febbraio non sarà l’ultimo».
Ci sono servizi specifici per le PMI?
«Certo, tutti i documenti sul sito web possono essere scaricati gratuitamente. Ci sono ad esempio semplici liste di controllo per aiutare i datori di lavoro ad affrontare colloqui difficili quando la prestazione cala. Offriamo anche servizi come l’assistenza legale, strumenti per la gestione delle assenze, o consigli per quando si assume una persona con disabilità».
Un anno fa avete lanciato un nuovo strumento di cooperazione tra dipendente, datore di lavoro e medico (PIR). Ce lo spiega?
«Avevamo notato che la comunicazione tra il datore di lavoro, il medico e il dipendente interessato spesso non funziona. Il risultato: frustrazione per tutti. Con il nuovo metodo (PIR), il datore di lavoro redige il profilo professionale richiesto con il dipendente evidenziando criteri e requisiti (inclusi i fattori psicosociali). Il medico poi valuta quali attività sono possibili. Finora, l’80% dei certificati medici dichiarava l’incapacità lavorativa totale, il che non è certo ottimale. Tra l’altro, il PIR è stato utilizzato in via sperimentale alle Officine delle FFS a Bellinzona in collaborazione con la SUVA».
A metà novembre avete pubblicato uno studio sull’ottimizzazione dell’inserimento professionale dei giovani con problemi di salute. Cosa bisogna migliorare ancora?
«Si investe molto nella formazione dei giovani con disabilità. Purtroppo però, molti non riescono poi ad entrare nel mercato del lavoro dopo una formazione spesso costosa. Sia per gli interessati che per le loro famiglie è quindi necessario un sostegno mirato che arrivi fino al primo impiego. I datori di lavoro devono inoltre avere un accesso semplice all’assistenza professionale, soprattutto in caso di limitazioni psicologiche».
Il Parlamento sta discutendo un’altra riforma dell’AI. C’è chi ritiene che i datori di lavoro dovrebbero essere obbligati ad assumere persone con disabilità sulla base di quote. Come giudica questa idea?
«La proposta, a mio avviso, non è molto costruttiva. Il Consiglio federale ha proposto un ‘accordo di cooperazione’, per concordare con le organizzazioni mantello dei datori di lavoro obiettivi quantitativi e qualitativi. In realtà finiremmo in un meccanismo burocratico costoso di controlli, che non garantirebbe il mantenimento dell’occupabilità dell’interessato né tanto meno il suo reinserimento. È molto più efficace un intervento tempestivo quando si palesa un danno alla salute. Sono quindi convinto che dobbiamo proseguire lungo il nostro percorso, lavorare bene insieme e creare buone condizioni per l’integrazione dei datori di lavoro e delle persone interessate».